Arte e Letteratura
Courbet e il Realismo
Courbet e la rottura delle convenzioni

L’onda, 1869 Olio su tela, cm 65,6 x 92,4 Francoforte, Städel Museum, Städelscher Museums-Verein e.V.
«Il bello è nella natura e si incontra nella realtà sotto le forme più diverse. Appena lo si trova, esso appartiene all'arte, o piuttosto all'artista che sa vederlo.»
È forte la dichiarazione di intenti di Gustave Courbet, l'artista francese che ha scelto di emanciparsi dai canoni classici e romantici e da una concezione del paesaggio che lo vedeva per lo più confinato come sfondo di scene storiche, mitologiche e sacre, per focalizzarsi sulla realtà e sulla natura.
A questo padre del Realismo Palazzo Diamanti ha dedicato una mostra dal titolo "Courbet e la natura", che racconta un percorso artistico in cui il binomio uomo-natura cambia significato.
La mostra si apre con una serie di autoritratti dell'artista, fiero ed elegante, circondato dal paesaggio roccioso della Franca Contea, terra natia per la quale nutre un profondo legame. Per Courbet, infatti, il paesaggio è un instancabile campo d'indagine nel corso delle sue sessioni an plein air. Alcuni dei soggetti più amati sono proprio le profonde e rigogliose valli della Franca Contea, che venivano lavorati direttamente dal vero e ritoccati in studio, come testimoniano le due versioni del Ruscello del Puits noir o i Caprioli alla fonte. Qui è già possibile notare l'occhio attento nella riproduzione dei colori, la capacità di rendere immortale su tela la scena al pari d'una macchina fotografica.
Le convenzioni della pittura accademica avevano per secoli reso il paesaggio sfondo delle figure umane, ma capolavori come La sorgente e Giovane bagnante dimostrano come Courbet abbia sovvertito quest'ordine, cancellando ogni intento narrativo e ogni riferimento mitologico, rendendo altresì la figura di donna parte stessa del paesaggio, annullando il confine tra natura e corpo ed esaltando la bellezza nelle sue molteplici forme.
Giovane bagnante, 1866 Olio su tela, cm 130,2 x 97,2 New York, Metropolitan Museum of Art, H.O. Havemeyer Collection. Lascito della signora H.O. Havemeyer, 1929
Le sezioni centrali della mostra si focalizzano su sperimentazioni dell'artista di grande impatto visivo, dove Courbet abbandona le composizioni convenzionali e ricorre a strumenti poco ortodossi come spatole, stracci, dita, che riportano su tela l'aspetto grezzo della roccia e delineano uno studio attento di sfumature, ombre e luci.
Emerge così, da feroci e dense pennellate, la serie di dipinti dedicati alle grotte dove nascono il fiume Loue e il suo affluente Lison. Il centro delle composizioni è occupato dalla misteriosa oscurità delle cavità carsiche da cui scaturisce la sorgente. Qualsiasi altro elemento pittoresco è assente o posto in secondo piano come lo è la figura del pescatore in Sorgente della Loue, che mette in risalto l'immensità della parete rocciosa e la profondità delle grotte.
La roccia di Bayard, Dinant, c. 1856 Olio su tela, cm 56 x 47 The Syndics of the Fitzwilliam Museum, University of Cambridge
L'audacia delle sue pennallate raggiunge il culmine con le serie Le Onde e Le Marine, ispirategli dal suo soggiorno sulle coste della Normandia tra il 1865 e il 1869. Il suo occhio di artista, non abituato all'immensità dell'orizzonte, si concentra sulle condizioni atmosferiche esterne in una serie di «paesaggi di mari» -che dunque distingue dalle sue precedenti opere.
Nella serie Le Onde, il protagonista è un mare mosso, spesso burrascoso, inquadrato in primo piano per non dare respiro allo spettatore. L'impiego della spatole e gli impasti di colore conferiscono a cielo e mare un'intensità drammatica, che nasconde quella primordiale forza della natura dinanzi alla quale l'uomo è inerme. Eppure il disegno delle onde, gli schizzi bianchi dei flutti che si sollevano sulla verticale, paiano immobili, studiati ad arte per imprigionare lo spettatore in un limbo in cui preme l'incubo dell'essere inghiotitto da quella forza mostruosa.
L'eternità su tela, che rimanda alle xilografie dell'arte giapponese di Hokusai e Hiroshikage.
I dipinti della penultima sezione raccontano il lato più romantico di Courbet, durante gli anni dell'esilio in Svizzera per sfuggire alla condanna seguita al suo coinvolgimento nel governo d'ispirazione socialista della Comune di Parigi. Emerge la nostalgia di artista esule, un sentimento delineato dalla traccia sottile delle cime montuose e da un cielo dai toni delicati, rosa ed azzurro si fondono e si perdono in pensieri lontani. Le pennellate sono lievi, soavi, quasi non si nota il distacco da una pennellata all'altra e ancor più si ha l'esempio di uno scatto naturalistico che coglie l'attimo in tutto il suo fuggente splendore.
Tramonto sul lago Lemano, 1874 Olio su tela, cm 54,5 x 65,4 Vevey, Musée Jenisch. Dono di Juliette Courbet, sorella dell’artista
La mostra si chiude con un tema che ricollega l'uomo artista alla natura: la caccia. Questa era radicata nella tradizione dei boschi e delle valli della Franca Contea e dunque nella formazione degli stessi giovani. Diverse sono le opere che Courbet dedica a questa sua passione, esaltando la crudezza della caccia come si può osservare in Cervo nell'acqua e Volpe nella neve. Il primo, proprio per le sue imponenti dimensioni accentua il tragico passaggio dell'episodio dove l'animale morente, reso con grande realismo, appare solo in un paesaggio desolato. Il secondo mostra invece ancora una volta lo studio di Courbet sui colori, dato da questo netto contrasto tra il biancore della neve e la pelliccia della volpe, resa soffice da pennellate corte e sottili, mentre i suoi occhi neri, famelici, sono il punto focale dell'intera opera e non si può fare altro che osservarla, ammaliati, mentre ella gusta il suo prelibato pasto.
Volpe nella neve, 1860 Olio su tela, cm 85,7 x 128 Dallas Museum of Art, Foundation for the Arts Collection, Mrs. John B. O’Hara Fund
Courbet e la natura
Al Palazzo dei Diamanti dal 22 settembre 2018 al 6 gennaio 2019
A cura di Dominique de Font-Réaulx, Barbara Guidi, Maria Luisa Pacelli, Isolde Pludermacher e Vincent Pomarèd
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