Attualità e Viaggi

Champion du Monde

Quella Francia che ti accoglie con tutta la sua benevolenza
di Isabella Greghi \ 09-08-2018 \ visite: 2419
viaggio in francia

Documenti. Biglietto. Valigia. Zaino. 

C’è tutto all’appello. Forse meno presente è il coraggio che, timido, tarda sempre ad arrivare, ma stringo forte il manico del mio trolley e inizio a camminare. Di fianco, avanti e dietro di me, gente. Un congruo complesso di individui che avanzano -anzi, corrono- con le loro valigie, i loro smartphone, il loro vociare e sembrano tutti così impetuosamente diretti alla loro meta, che neanche ti vedono. Passano, non ti guardano, e se ne vanno.
L’aeroporto di Pisa è moderno, spazioso, eppure piccolo rispetto alla quantità di gente che accoglie. O forse dimentico che tutti gli aeroporti sono così. Dopo alcuni metri raggiungo il cartello “controllo bagagli”, saltando la fila del check-in, poiché, avendo stampato la carta d'imbarco online posso bypassare direttamente questo passaggio: 100 punti per me! Mi immetto così in quel profluvio di persone che attendono di passare incolumi il vaglio della porta raggi X. È il mio turno. Da brava viaggiatrice esperta (seh, come no…) , poso il mio bagaglio sul rullo trasportatore, oltre ad orologio, collana e orecchini nel cestello. Con una mano la guardia mi fa cenno di passare sotto il body scanner e, tranquilla, mi avvio in quella direzione. Nel mio primo viaggio da sola poteva andare tutto liscio come l’olio? Ma inauguriamolo bene, no!? La mia attenzione è infatti subito rapita dalla spia rossa affianco a me, che si accende e spegne, accende e spegne, emettendo un suono ripetuto, bip bip bip. E adesso? L’uomo nero mi ha per caso nascosto nel sonno un’arma da fuoco? Non capisco il motivo per cui suoni l’allarme e un subitaneo brivido a livello intercostale mi assale, mentre penso ad una giustificazione da dire alla stessa guardia, che ora mi osserva con il peggio sguardo incriminatorio. Mi palpa mani, braccia, fianchi, persino i capelli. Poi mi guarda i piedi e allora tutto torna: i miei bellissimi quanto rompipalle sandali gioiello hanno fatto scattare la deliziosa spia rossa, della stessa tonalità del mio volto. Mi riprendo dall’imbarazzante disguido e dai mille occhi puntati addosso come lampade al neon, e mi dirigo al Gate “Pisa-Girona”, ripensando al nuovo slogan della vacanza: ‘no sandali gioiello, ma più scarpe da ginnastica per tutti’. Faccio mente locale: ho dimenticato di mettere in valigia le scarpe da ginnastica! Molto molto bene, altri 100 punti per l’impegno! Sì, perché anche scordarsi le cose assume un certo onere.
Finalmente mi siedo e resto in attesa dell’imbraco, ripensando a quale sarà la prossima sventura. Mi accorgo che, di fronte a me, una bimba mi guarda con la testa leggermente piegata. Si starà forse domandando perché io sia sola, visto che inconsapevolmente allunga una mano verso la donna affianco a lei, che le sorride. Mi investe un inspiegabile senso di solitudine, così prendo il telefono e scrivo a mia mamma che va tutto bene. Tempismo perfetto poiché, appena premuto invio, mi si spegne con batteria 0%. Stupendo! Mi mancava il gran finale della lunga lista di “sfighe, e come trovarle”. Fortunatamente, l’attesa non si è rivelata tanto pesante quanto mi aspettassi, e presto mi imbarco sull’aereo, sedendo nel posto accanto al finestrino. Alla mia destra un ragazzo, probabilmente spagnolo, sembra essere molto preso nello sciogliere il groviglio delle sue cuffiette. Mi sorride e poi torna alla sua attività. La voce femminile dell’altoparlante si diffonde nell’abitacolo annunciando la partenza. Ci siamo. Mi allaccio la cintura e guardo fuori la terra che scompare e viene sostituita dal cielo più azzurro: riesco finalmente a rilassarmi e rilasciare i muscoli del ventre, che mi rendo conto solo ora aver tenuto contratti dall’ansia. Chiudo gli occhi. Ciao mamma, ciao papà, ciao amici. Ci rivediamo tra un paio di settimane.
 
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Quando apro gli occhi, la stessa soave voce femminile di prima -che ora quasi non sopporto- comunica l’arrivo a Girona. Scesa dall’aereo mi incammino verso il ritiro bagagli e, una volta recuperata dal nastro trasportatore la mia valigia Amicadimilleavventure, seguo la sequela di gente dirigersi verso il segnale EXIT -che rappresenta la mia Vittoria, l’essere arrivata a destinazione, ma anche l’inizio di una nuova esperienza. Uscita, riconosco i mille sguardi di probabili genitori che attendono, stringendosi la mano, il probabile figlio; giovani ragazzi che immagino aspettare la fidanzata o l’amico al ritorno dalla vacanza; uomini vestiti in giacca e cravatta, pronti ad accogliere il collega o il cliente. L’attesa nei loro occhi è percepibile persino a me, che sono per loro estranea. E come tale, mi accorgo della loro delusione nel realizzare che non sono io la figlia, la fidanzata, l’amica o la collega per cui restano tanto in attesa. Mi guardo in giro, qualcuno tra questa folla però, aspetta anche me. “Isabella?” Sento alle mie spalle una voce sottile e decisa: è Alice. Una giovane donna dalla carnagione lattea e i capelli castano scuro. Gli occhioni verdi che mi fissano in attesa di una risposta. “Sì, sono io”.

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Durante il viaggio verso Perpigan, dove abita, abbiamo avuto entrambe modo di conoscerci di più. Alice, si è laureata in architettura a Ferrara e ha poi deciso di trasferirsi in Francia dove ora vive, lavora e ha una famiglia. Ad accogliermi a casa, ci sono due piccoli batuffoli di nome Matteo, che ancora non parla, e Gioia, ha quattro anni, che entusiasta mi salta in braccio e mi chiede di giocare. Yann, compagno di Alice e papà dei bambini, riservato ed educato, mi saluta e mi rende la benvenuta. La Francia stessa mi accoglie con tutta la sua benevolenza. Con i suoi paesini piccoli, essenziali, non dispersivi. La boulangerie all’angolo, le boutiques nel vialone centrale, i cafés : tutto sembra essere preciso, ordinato, al posto giusto. Non mi voglio limitare al comune e scontato elogio del bel Paese, in cui si esalta la sola bellezza e nient’altro. Ma voglio mettere in luce tutti particolari, i clichè e le abitudini di questa società che, per quanto poco l’abbia vissuta, mi ha comunque trasmesso molto più di quanto si possa leggere su un libro di scuola (senza nulla togliere all’insegnamento scolastico). Qui mi sento serena, a casa. Come la sera stessa del mio arrivo: cucinare  una carbonara, tanto per non dimeticare Madre Patria, mangiare insieme e parlare del più o del meno. Sederci sul divano e guardare la partita di calcio in francese. Tutto questo mi trasmette una profonda felicità, mai provata prima, un senso di ristoro e appagamento, e me ne rendo conto solo nell’istante stesso in cui, alla tv, una voce grida «alè alè la France»  «Champion du Monde, Champion du Monde!».

Che dire, cos’altro mi riserverà la Francia?

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