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Recensione e analisi di Fahrenheit 451
di Alessandro Greco \ 02-11-2016 \ visite: 2617
fahrenheit

233 gradi celsius: è questo il significato del titolo di questo capolavoro della letteratura americana. Mai titolo fu più azzeccato. E a questa temperatura, infatti, che avviene la combustione della carta, portando all’eliminazione di ciò che essa conduce, ovvero l’espressione del libero pensiero. Divenuto da decenni un pilastro del genere distopico, Fahrenheit 451 è probabilmente l’opera più famosa dello scrittore di fantascienza Ray Bradbury. In questo romanzo viene portata all’estremo la rappresentazione del potere della censura, e dunque della censura del potere. Ambientato in un imprecisato periodo successivo al 1960, viene descritto un mondo alternativo, dove è proibito per legge leggere. Basta questo piccolo cambiamento a permettere a Bradbury di dipingere una realtà alternativa allarmante, dove l’ignoranza è lo strumento con cui i potenti obbligano all’obbedienza le classi sociali inferiori. Ma non è di schiavi o operai che racconta l’autore, bensì di una classe borghese ormai stordita dalla televisione e dalla pubblicità, divenuta incapace di scorgere l’orrore là dove si cela. Quindi sorge il vero quesito posto dall’autore al lettore: siamo sicuri che questo romanzo sia pura finzione?
Perché allora cominciare con un libro dalle tinte tanto cupe? Perché non c’è tema forse più attuale della censura: basti pensare a quanto accaduto non molto tempo fa in Turchia e quanto ancora succeda nel resto del mondo. Innegabile che l’ispirazione sia derivata anche dall’allestimento del musical “Cabaret” della Compagnia della Rancia presso il Teatro Comunale di Ferrara, il quale appunto mostra quale terribile eccidio compia la censura, ovvero la morte della bellezza. Come Montag viene privato della possibilità di godere delle meravigliose opere dei grandi scrittori del passato, così durante il nazismo milioni di persone venivano costrette al silenzio. Si provi a pensare che un grande come Bertolt Brecht sarebbe rimasto nell’oblio se Hitler avesse vinto la guerra. Tuttavia si potrebbe discutere per ore di tutte quelle opere che in un modo o nell’altro hanno contribuito ad esporre il tema distopico dell’annullamento della libertà di espressione. Abbandonando per un attimo le arti più elevate, è possibile riscontrare qualche granello di questo tema anche in ambienti artistici apparentemente meno colti. Qualche anno fa fu pubblicato, ad esempio, da Bethesda Softwoks, un videogame “Wolfensteinn” ambientato durante degli anni ’60 alternativi, dove furono i tedeschi a vincere la seconda guerra mondiale. Interessante notare come il trailer di debutto di questo videogioco fu la cover della celebre “The House of the Rising Sun” degli Animals, cantata tuttavia in tedesco con ritmi tipicamente teutonici. Affascinante quindi osservare come basti un piccolo pizzico di ucronia, in questo caso distopica, a cambiare totalmente la nostra idea di estetica e quindi la nostra libertà di pensiero. Spingendoci alle arti cinematografiche non si può non ricordare il bellissimo film “V per Vendetta”, a sua volta tratto da un meraviglioso comic novel, che fa dell’esaltazione del tema della censura in una Gran Bretagna futura e autoritaria il proprio punto nodale. E sempre in ambito cinematografico, non ci si può astenere dal visionare il recentissimo “Lui è tornato” del regista David Wnendt, un lungometraggio in cui è possibile notare con un misto di amarezza e ironia, cosa accadrebbe se con fare kafkiano si presentasse oggi alle nostre porte Adolf Hitler in persona.
Al lettore che decide di approcciarsi al capolavoro di Bradbury, si raccomanda estrema attenzione dunque. Sono i dettagli a rendere straordinario “Fahrenheit 451”, come la cura con cui l’autore ha dipinto un mondo terribile eppure estremamente realistico e coerente. Dunque, leggete questo libro, prima che qualcuno ve lo bruci.
Tuttavia occorre precisare alcuni importanti concetti, poiché importante il libro di cui stiamo parlando. Qual è la prima parola che può venire in mente solo nel leggere le prime righe del romanzo? Fuoco. Bradbury insiste sull’accostamento di termini contrastanti. Come può “appicare il fuoco” essere l’ordine che un buon pompiere deve compiere nel mondo da lui dipinto? Eppure è proprio questo che accade in questo universo alla rovescia. Il fuoco è infatti il vero protagonista dell’opera: un elemento distruttivo, quando usato per bruciare la bellezza, o creativo, quando usato per forgiare e costruire, in riferimento al mito prometeico. Bradbury riprende dunque uno dei temi più cari al filosofo greco Empedocle, che già definiva il fuoco come una delle quattro radici fondamentali del mondo. Ebbene nel mondo di Fahrenheit 451 non c’è spazio per altro. Il fuoco ora non è servo dell’uomo ma solo di alcuni uomini, dei potenti. È impossibile non cogliere un riferimento al precetto nazionalsocialista del rogo della cultura, in quanto i libri sono forma di conoscenza e di bellezza, o ancora alla dottrina di Gerolamo Savonarola, che secoli prima già professava tale idea. Tuttavia il riferimento più interessante, conscio o meno che sia, è sicuramente al filosofo tedesco Gunther Anders, marito della più nota Hannah Arendt. Egli infatti fu uno dei primi pensatori a definire in maniera concreta il concetto di distopia, dipingendo un mondo totalmente meccanizzato, dove è la tecnocrazia e non la cultura a dominare le menti degli uomini. Non accade forse questo agli abitanti del mondo di Bradbury? Si chiedono forse il motivo del perché sia proibito leggere? Affatto, sono totalmente succubi dell’illusione in cui vivono, un velo di Maya, direbbe Schopenhauer, che è comodo a loro miserabili, ma soprattutto ai potenti che li controllano. Dunque è impossibile non rimanere sconcertati dalla semplicità dell’idea dell’autore: un mondo fittizio e terribile, dove un solo diritto, apparentemente insignificante, viene bandito. Ma è questa piccola anomalia nel tessuto narrativo ad aprire un varco enorme per un universo parallelo completamente diverso. Bradbury era conscio di dare una rappresentazione esagerata della realtà, o in questo caso, si spera, dell’irrealtà, ma per citare V in per V per Vendetta:” gli artisti dicono menzogne per dire la verità, i politici fanno il contrario.” Questo fa del defunto Bradbury un artista eccezionale che ha spinto ancora più in là l’asticella dell’incredibile, regalandoci un dipinto dai tratti scuri e tuttavia intramontabili.
 

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