Arte e Letteratura

L'arte d'amare/Una donna spezzata/Tutta storta come sono

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di Irina Aguiari \ 25-05-2016 \ visite: 2825
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Che si possa definire l’unico irriducibile dilemma dell’umanità? L’amore che dà vita e che rigenera il corpo e lo spirito, ma che può provocare la morte e ridurre a niente tutto l’esistente.

Un’arte secondo Erich Fromm: non un talento innato, ma bensì un mestiere da osservare attentamente e solo successivamente, da imitare con volontà. La volontà che è alla base, che ne è il presupposto unico ed imprescindibile: per amare bisogna innanzitutto voler amare. Un saggio accessibile e colto contemporaneamente che indaga l’amore nella sua molteplicità di forme: quello materno, fraterno, erotico, per se stessi, per Dio. Lo sforzo di conciliarlo con la frenesia e la mercificazione delle relazioni nella società capitalista alle porte della globalizzazione, le eredità della teologia e della concezione del divino, gli apporti della psicanalisi freudiana. Non mancano punti dissonanti con alcune idee più recenti sull’amore: l’omosessualità come devianza o la monogamia come condizione necessaria stridono con il poliamore, la condivisione delle relazioni sentimentali e la confutazione del binarismo di genere. Divergenze dovute più che alla distanza temporale, alla reale difficoltà di definire l’amore e redigerne una teoria completa che ne fanno una discussione interessante e un oggetto di studio valido, ma che allo stesso tempo impediscono di ridurlo ad un numero limitato di pagine o di esperienze.

 Nonché il limite di una prospettiva unidirezionale che osserva l’amore dal punto di vista del genere maschile. Perché con gli occhiali di una donna, l’amore è doloroso e solitario. È una condizione che se non diventi padrona di te stessa, ti annulla, ti reclude e ti costringe a proiettarti nella persona amata senza la quale perdi di significato. Tre donne, non una, in un romanzo esso stesso spezzato. Molto diverse tra loro, ma tutte abbandonate. Il diario di un tradimento subito alla luce del sole da una casalinga, la narrazione della vita di una letterata all’ombra del marito scienziato, il monologo di una madre abbandonata la notte di Capodanno. Un soffuso manifesto femminista, mascherato da lettura quotidiana che nel sottofondo delle storie e dei dolori delle protagoniste grida la necessità per ogni donna di non ridursi ad essere la moglie di qualcuno o la madre di qualcun altro. Un monito silenzioso che sembra ricordarci di curare innanzitutto noi stesse, di sceglierci, di essere nostra moglie e nostra madre. Senza nulla togliere al resto delle relazioni sentimentali, ma anche senza rimanere a mani vuote quando queste decidono di abbandonarci all’improvviso o di appassire con il tempo.

Curare noi stesse. Aiutare i neurotrasmettitori a non indebolirsi, controllare l’ansia e gli attacchi di panico. Imparare a conviverci tutta la vita, eppure non essere mai pronta quando colpiscono. Barbara ne sa qualcosa dell’amore che risolleva e che lacera e non ne ha mai trovato uno così maturo in grado di convivere con lei e il mostro che si dimena dentro di lei. Ricordi scanditi da antidepressivi, antiepilettici, calmanti, sonniferi e una malattia invisibile, ma invalidante che la blocca e le impedisce di fare tutto ciò che vorrebbe. Una storia dolorosa raccontata attraverso pagine di riscatto, di rivalsa sulla vita stessa. Come a dire: mi hai incastrata in questo schema diabolico di alti e bassi, ma io sono forte e possono gestirlo e trovare il coraggio di raccontarlo a tutti attraverso il mio libro e la scrittura che, fin da bambina, mi è piaciuta tanto. È un tentativo di fare rete, di condividere la propria esperienza con chi è vittima delle stesse sensazioni e anche uno sforzo per cercare di spiegare a chi non l’ha mai sentita addosso, la paura quotidiana di qualsiasi cosa. Una storia personalissima in cui immergersi, sullo sfondo parziale dell’Università di Ferrara vissuta da una studentessa fuorisede. 

Librarsi Giulia

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