Arte e Letteratura
Santa degli impossibili, un anno dopo
il libro di Daria Bignardi che letto due volte fa uno strano effetto

Mila sta per compiere quarant’anni, è una giornalista e quando ne aveva ventitré ha conosciuto Paolo. Assieme hanno dato alla luce tre figli di cui Maddi è la primogenita. Il loro è un matrimonio come tanti, certo non felice, ma nemmeno drammatico. Paolo e Mila non si capiscono. Sullo sfondo c’è una Milano caotica, inquinata, umana e disumana. La protagonista quarantenne è entrata in una sorta di crisi esistenziale, con diversi tentativi di lavoro alle spalle e un volontariato a San Vittore presto abbandonato. Dopo una degenza ospedaliera, conosce Annamaria e viene illuminata sull'esistenza mistica di Santa Rita, la “santa degli impossibili”. Dal quel momento la sua vita inizia a cambiare. L’ultimo libro di Daria Bignardi è un racconto leggero e fortemente ispiratore che, a scanso di equivoci, non parla di santi (ma questo non è un problema).
Quando uscì Santa degli Impossibili, circa un anno fa, corsi subito a comprarlo. E lo terminai tutto in pochissime ore. Sono felice quando trovo un libro che mi prende al punto da non farmici staccare, la maggior parte delle volte significa che mi sta piacendo davvero. In quel caso però le cose andarono diversamente. Dopo l’ultima pagina sentii che non sarei riuscito a recensirlo, né a commentarlo e tantomeno a riassumerne il contenuto. L’ho letto con poca attenzione? no, il finale era brutto? assolutamente. A paralizzarmi furono le ultime parole: “Non so ancora dove vado. Però cammino”. In quel periodo stavo vivendo gli ultimi giorni di liceo, poi avrei affrontato la maturità. La frase mi piombò addosso come un macigno, tanto che dentro di me pensai “allora Mila sono io...” e mi promisi di rileggerlo più avanti e più tranquillamente. E così ho fatto.
Rileggere “Santa” un anno dopo mi ha fatto capire molte cose: che sono cambiato e che anche crescendo certe paure restano. Ma soprattutto mi sono reso conto di quanto sia fondamentale avere sempre dei punti di riferimento. La particolarità di questo libro è che la narrazione si sviluppa su due piani: uno superficiale, la storia in sé, e uno più profondo e intimo, la giustificazione che diamo alle nostre azioni. Ho capito di aver letto il libro immaginandomi di sostituire il profilo psicologico di Mila con il mio. “Io amo la vita” dice. Io sottoscrivo (potrei non farlo?). Mi piace trovare sempre qualcosa da fare, impegnare il mio tempo in ogni modo possibile. Se sto fermo, soffro. Sono fatto così. Quando mi sento perso scelgo di andare al parco ad ascoltare il mondo, e nel tempo libero giro senza una meta per la città a caccia di storie. “Mi piacciono le piccole cose”, esattamente come Mila.
Mi sono convito che infondo siamo tutti un po’ Mila. La paura di amare o di non essere amati, l’idea di non essere compresi e sentirsi diversi, il legame forte con una città, e anche il timore di crescere; non servono necessariamente i quarant’anni della protagonista per provare queste sensazioni, anche a vent’anni un po’ le si ha vissute e si comprende bene cosa esse significhino. L’ultimo libro di Daria Bignardi non è il mio preferito, ma tra tutti è quello che più mi ha spinto a riflettere su me stesso. E va bene, benissimo se un testo oltre ad intrattenere sposta il focus dell’attenzione anche sul tuo “Io”. Proprio per questo per il Maggio dei Libri ho pensato di parlare in poche righe delle suggestioni che mi hanno evocato queste pagine. Più che una recensione, è un consiglio di lettura.
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