Arte e Letteratura

A Bologna, una cattedrale dedicata a Pasolini

La madre, la tragedia, le borgate, il sacro: al Mambo i fondamenti del lavoro di PPP
di Licia Vignotto \ 27-02-2016 \ visite: 3513

Una cattedrale romanica silenziosa e fiocamente illuminata, dove camminare lenti per osservare le icone sacre allestite lungo la navata. La mostra che Bologna ha dedicato a Pier Paolo Pasolini – per ricordarlo nel quarantennale della morte - stupisce innanzitutto per l’allestimento, reso possibile dagli spazi ampi e versatili del Mambo, il Museo di arte moderna di via Minzoni.

Dopo una prima sala introduttiva volta agli anni della formazione bolognese, necessaria per allontanarsi dall’inevitabile confusione dell’ingresso e calarsi negli vita, nei luoghi e nell’immaginario dell’intellettuale, ci si addentra in un vero e proprio tempio, dove i simboli che hanno segnato negli anni l’immaginario e il lavoro di Pasolini si incontrano un passo alla volta, in una teoria che ricorda quella dei santi nelle nicchie votive e che si sviluppa nella verticalità di una sala altissima – la Sala delle Ciminiere.

La madre, la tragedia, il sacro, le borgate, la borghesia, i popoli lontani, il neo-capitalismo: questi sono alcuni dei nuclei tematici scelti dal curatore, Gian Luca Farinelli, per illuminare l’opera letteralmente incomprensibile - troppo vasta da comprendere, stilizzare, ridurre – di chi ha saputo spaziare dalla poesia al romanzo, dal cinema al documentario, attraversando critica letteraria e politica, imponendosi nel Novecento italiano grazie alla forza, alla profondità e all’urgenza del proprio pensiero.
Ciascun tema è sviluppato in modo multimediale grazie a un vasto assortimento di carteggi, fotografie, appunti, filmati, sceneggiature, abiti e accessori di scena. Attraversando il salone principale è difficile procedere diritti, si rimbalza dai componimenti in dialetto friulano, corretti a mano, agli spettacolari abiti indossati dai protagonisti di “Medea”, dalle foto di scena scattate in bianco e nero sul set di “Salò o le 120 giornate di Sodoma” alle interviste che esplorano il futuro della comunicazione di massa.

Il percorso - visitabile fino al 23 marzo - funziona sia per chi ha amato PPP, e trova nei materiali proposti sfumature nuove per ricordare e ripensare in modo più completo la sua figura, sia per chi si approccia alle sue opere e alla sua biografia per la prima volta. La divisione in temi rappresenta una buona bussola per chi si deve orientare in un magma tanto complesso ma allo stesso tempo offre affondi inconsueti e inediti a chi sa dove guardare.
In entrambi i casi si è catturati dalla poliedricità di Pasolini, dai nodi che si ritrovano e si sviluppano nella varietà delle sue espressioni, dal suo impegno – soprattutto dall’instancabile impegno, sintetizzato efficacemente nel titolo dell’esposizione. Officina è il nome della rivista fondata negli anni Cinquanta a Bologna assieme a Roberto Roversi e Francesco Leonetti, ma non solo. Officina è lavoro e cura, è necessità di adoperarsi sfruttando al meglio i mezzi a disposizione.   

«Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro. [...] Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano».

La mostra si conclude in una piccola sala dedicata all’uccisione dell’intellettuale, dove vengono trasmessi i telegiornali che annunciarono la notizia, ed è difficile uscire dal percorso espositivo e avere voglia di commentare ad alta voce ciò che si è visto. Resta addosso un silenzio riflessivo, di rispetto.

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