Utilità e progetti
Maria Sole: da Comacchio al servizio civile in Tanzania
Intervista a una cooperante tornata in patria

Comacchio. È una mattinata soleggiata di dicembre e chiacchiero con Maria Sole (un nome, una garanzia: è davvero un sole), a casa sua davanti ad una tisana. Anche io, la redattrice, sono per metà comacchiese, scherzo un po’ sul nostro dialetto e sulla nostra bizzarra provincia, poi la lascio raccontarsi. Ma come si fa a raccontare brevemente cos’hai vissuto durante un lunghissimo anno di servizio civile in Tanzania? È difficile sul serio. La interrompo spesso, perché essendo io stata un anno in Perù nei Corpi Civili di Pace, percepisco un sottile fil rouge che lega il suo stato d'animo al mio, al di là delle nostre origini. Volontarie per due diverse ONG, siamo tornate in Italia nel 2018 con la consapevolezza di non essere più le stesse, ma di aver visto cose che valeva la pena condividere e portare qui, a casa nostra. Gli stereotipi su cui inciampa spesso l’interlocutore medio sono legati all’idea di un’ Africa grande e pericolosa e difficile e povera, così come l’immagine del volontario che di certo è una persona buona, perché non fa altro che andare ad “aiutare” delle persone in difficoltà. Poco importa se non so dove sia la Tanzania.
Una delle difficoltà che Maria Sole ha vissuto durante la sua esperienza da cooperante è stata quella di entrare in un contesto nuovo, fatto di strutture culturali, tradizioni, credenze proprie che l'europeo non può e non deve smantellare, modificare o ricodificare secondo preconcetti occidentali. Vale a dire: "non arrivo a importi nulla, donna della Tanzania, ma vengo a raccontarti che esiste anche un’altra versione delle cose. Io sono la diversità, ascoltami soltanto". In una Tanzania in cui la violenza è comune per legge, i bambini possono essere picchiati a scuola dal maestro e gli omosessuali finiscono in galera, come si fa a fare progetti di empowerment femminile? La violenza contro le donne esiste anche in Italia, le statistiche delle vittime italiane vengono esposte anche a Comacchio, il 25 novembre. Ogni anno.
Maria Sole non è la prima volta che lavora con le donne e per le donne, se n'è già occupata a Trento, città in cui ha studiato Sociologia, con un focus sulle risorse umane. È anche una viaggiatrice in gamba e se è vero, come è vero, che l’Africa non è una passeggiata, soprattutto se sei bianca, Maria Sole ha viaggiato sola nel continente senza mai sentirsi in pericolo. In Italia ha fatto volontariato e lavorato in cooperativa con i migranti e, davanti ad un bivio, ha scelto l’Africa. Concorso pubblico o servizio civile? Lei ha preferito il progetto in Tanzania con il CO.P.E. Cooperazione Paesi Emergenti, imparando anche lo swahili.
Chiedo a Maria Sole qual è la parte critica del ritorno in patria: è quando ti senti incompresa anche dalle persone più vicine, dagli amici di sempre. Difficile raccontarsi. Però poi ti ricordi, come scriveva nonno Arnaldo Felletti, che i comacchiesi che vanno nel mondo portano in giro un’eccellenza, portano altrove una sorta di “comacchiesità” e, quindi, andarsene assume una sfumatura "strana" ma nobile.
Me ne vado da casa di Maria Sole con tanti pensieri aggrovigliati. Penso a Silvia Romano, penso ad un'Italia alla quale sembra non interessare troppo il mondo del non profit. Penso al Decreto Sicurezza. Penso a chi va ad aiutarli, i migranti, "a casa loro" e chi continua ad aiutarli qui da noi. Che aiutare è un verbo che non mi piace, che preferisco accogliere. Che noi siamo nati fortunati e non dovremmo mai darlo per scontato. Che siamo tutti in migrazione costante, accogliamo e siamo accolti altrove, anche nella quotidianità delle nostre relazioni umane, e che questo sforzo di accogliere la diversità poi alla fine uno sforzo non è.
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