Ferrara dietro le stelle 2014

Live Report: Demdike Stare @Zuni Outdoor

Due stregoni dell'elettronica al Chiostro di San Paolo
di Alessandro Orlandin \ 07-07-2014 \ visite: 2671
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Assistere a un’esibizione dei Demdike Stare – come quella andata in scena al Chiostro di San Paolo a Ferrara – può facilmente lasciare con la sensazione di non saperne abbastanza di musica. O di avere bisogno di aggiornarsi un po’ su quanto significa fare musica nel XI secolo. Almeno questo è il sentimento provato da chi scrive, appassionato alquanto superficiale di musica elettronica, tragicamente impreparato di fronte alla miscela imprevedibile del gruppo inglese giunto a Ferrara per la prima delle due date OFF di Ferrara Sotto le Stelle 2014.

Peraltro sembra troppo facile far ricadere il sound dei Demdike Stare nell’ampia quanto banale classificazione di “musica elettronica”. Perché con tutta probabilità il tratto principale di questo progetto artistico è proprio l’impossibilità di una definizione precisa. La stampa specializzata usa almeno mezza dozzina di termini: dark-ambient, dub postatomico, dark-dupstep, tecnho, industrial e via così in una giungla quasi inestricabile. È bene quindi ripartire da alcuni punti cardinali e per questo fermi: Demdike Stare è il nome d’arte con cui operano Miles Whittaker e Sean Canty, un duo di produttori inglesi (originari di Burnley) che da ormai un lustro si diverte a scovare musica sconosciuta ai più, sezionarla e rimescolarla con altra musica altrettanto sconosciuta o quasi per produrne di nuova. Per la cronaca, Demdike era il soprannome di Elizabeth Southerns, una presunta strega del Lancashire – regione in cui sono cresciuti Whittaker e Canty – che nel 1612 venne processata appunto per stregoneria.

demdike2 Che ci possa essere una punta di magia nera, o un richiamo a essa, nella musica dei Demdike Stare viene spontaneo pensarlo fin da subito. Le atmosfere cupe ed eteree con cui aprono la loro esibizione sono accompagnate dalla totale oscurità che invade il chiostro di San Paolo. A rischiarare un po’ l’ambiente c’è solo lo schermo bianco che sta alle spalle di Whittaker e Canty, su cui vengono proiettati frammenti di immagini dai richiami esoterici e occulti. A un primo sguardo sembra più una performance di video-arte che un vero e proprio concerto. Di certo la formula dei Demdike Stare non farà mai al caso di pubblicitari o deejay radiofonici, ma potrebbe tornare utile a qualche regista di film dell’orrore desideroso di dare un suono appropriato a un terribile incubo notturno. Archiviato il primo cupissimo brano, i due ingranano la marcia e passano a un set comprendente ritmi più omogenei. Siamo ancora di gran lunga alla larga da beat che si possono definire ballabili, ma se non altro risuonano nell’aria elementi ricorrenti che inducono più di qualcuno a far ciondolare ritmicamente la testa. Whittaker, un lungagnone col cappello in testa, ogni tanto si consulta con Canty prima di tornare all’incalcolabile numero di tasti e manopole che si para sotto i suoi occhi (e che ovviamente dà prova di maneggiare con sapienza). Il senso di ipnosi collettiva varia di momento in momento, mentre il proiettore continua a mandare fotogrammi provenienti da filmati di ogni genere ed epoca. Parlare di post-moderno sembra un tantino riduttivo.

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Intensa, ansiosa, a tratti oppressiva: la musica dei Demdike Stare non lascia scampo, o coinvolge e suggestiona o inevitabilmente annoia con pesantezza quasi letale. Un tizio all’altezza del pozzo che si trova al centro del chiostro dimostra di sentirsi palesemente coinvolto, urlando un “Come On!” di incoraggiamento, quasi per fare da surrogato all’assenza di applausi. Non che il pubblico non voglia battere le mani, ma le interruzioni tra un pezzo e l’altro non ci sono. Così non resta che provare a fare qualche video o qualche foto da consegnare a Instagram, ma con scarsissimi risultati, vista l’illuminazione pressoché inesistente. Meglio così: ognuno è costretto a far girare gli ingranaggi del cervello per dare una forma – plausibile o meno – al complesso strato di suoni che i Demdike Stare sparano nel cielo limpidissimo di Ferrara. D’altra parte una sezione del loro ultimo disco si chiama “Liberation through hearing”, liberazione mediante l’ascolto.

E come a voler condurre alla liberazione dal labirinto che essi stessi hanno creato, Whittaker e Canty scelgono di chiudere con una lunga composizione dai richiami techno, che sembra finalmente riconsegnare un senso di linearità a chi sta di fronte a loro. Un piccolo bagliore rischiara il palco: è un segnale che fa scattare l’applauso e fa avviare i protagonisti della serata verso la scaletta laterale. Campionatori, synth e altre sofisticate diavolerie però continuano a mandare suoni metallici su un tappeto di bassi ondeggianti. Gli spettatori rimangono al loro posto, pronti per un tipico encore. Restano tutti fregati. Le macchine fanno il loro dovere, poi interrompono il flusso: i Demdike Stare si sono già congedati, almeno sul fronte artistico. Tornano sul palco col sorriso esclusivamente per salutare, smontare e impacchettare il loro complesso apparato elettronico con cui, per poco più di un’ora, hanno confuso un centinaio di menti.

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